Branding e Marketing
Il rebranding di Facebook
Che Facebook avesse ultimamente tutta una serie di problematiche da risolvere era chiaro a tutti, ma che cercasse di risolverle con una mano di vernice a nome e logo se lo aspettavano in pochi…
“Per me simboleggia che c’è sempre altro da costruire”.
Con queste parole Mark Zuckerberg ha concluso il suo keynote al Connect il 28 ottobre scorso, presentando l’idea di un rebranding del suo gruppo. Non più Facebook e la sua onnipresente F blu, dunque, ma “Meta”, parola che deriva dal greco e che significa (ma non solo) “oltre”.
Ma come è stato accolto questo cambio di look?
Il simbolo
Cominciamo dal pittogramma, dal simbolo, francamente abusato. L’infinito non è nulla di originale, e di certo Zuckerberg non è il primo che lo usa. Se vi va di leggere il rapporto sui trends dei logo di Bill Gardner, fondatore di logolounge, scoprirete (ma forse ci siete già arrivati dall’URL dell’articolo) che la “Mobius strip“, come si chiama questa striscia chiusa di cui si parla al punto 5, era di moda più di 10 anni fa…
Su migliaia di istanze del simbolo nei vari database di logo disseminati nei server di tutto il globo terracqueo, brillano per notorietà quello della Peugeot 307 (anno Domini 2008, dell’agenzia di graphic design italiana Angelini Design) e della designer danese Maria Gronlund (2015) per un’azienda che produce “tracciatori” del sonno, azienda che, guardacaso, ha un nome che mai potreste immaginare… METTA!. Se non si conoscesse il modo di fare business di Mark Zuckerberg (fagocitando concorrenti e, quando non ci riesce, copiando), si potrebbe dire che nome e logo così simili sono una gran bella coincidenza!
Siamo malpensanti?
E allora vi sottoponiamo qualche tweet.
Questa volta è l’azienda tedesca M-sense Migrane a scriverlo, non risparmiando a Mark una pesante frecciatina. “Siamo onorati“, si legge nel tweet, “che @facebook si sia sentito ispirato dal logo della nostra app per l’emicrania – Forse si ispireranno anche alle nostre procedure sulla privacy dei dati“. L’azienda ha poi continuato con un secondo tweet, dimostrando un’encomiabile ironia: “Ci è stato detto che questo rebranding a @Meta sta causando a Mr. Zuckerberg una grande emicrania – Ti possiamo aiutare! Basta scaricare la nostra app!” Un’app che, per inciso, ha oltre 5000 download sul solo Play Store da quando è stata pubblicata nel lontano 2016.
We are very honoured that @facebook felt inspired by the logo of our migraine app – maybe they’ll get inspired by our data privacy procedures as well 👀 🤓
#dataprivacy #meta #facebook pic.twitter.com/QY7cota36r— M-sense Migräne (@msense_app) October 29, 2021
We’ve been told this rebrand to @Meta is causing Mr. Zuckerberg a big migraine — we can help! Just download our app 😘 #facebook #meta #migraine #migraineapp pic.twitter.com/aN5P3VFk47
— M-sense Migräne (@msense_app) October 30, 2021
Se poi alle coincidenze non credete, allora dovreste sapere che lo zio Mark sta pensando di pagare una vagonata di dollari (una ventina di milioni) ad una piccola azienda di Phoenix, Arizona, che vende computer et similia, che già usa il marchio Meta da almeno un anno e che ha presentato richiesta di registrazione (confermata dall’Ufficio Brevetti statunitense) il 23 agosto scorso. Se invece i legali di Faceb…, ops Meta, dovessero ritenere che il gioco vale la candela, probabilmente schiacceranno la piccola azienda in una battaglia legale costosissima. Altro che metaverso, è una scena già vista nell’universo fin troppo reale di Zuckerberg: o ti fai fagocitare o muori (e poi ti fagocito lo stesso).
Non solo, ma pensiamo alle ricadute sulle tante di aziende che nel mondo già usano in qualche modo il nome Meta. Il loro destino (opinione condivisa da moltissimi, tra cui l’illustre Jim Prior, CEO di Superunion) è quello di essere drammaticamente oscurate dalla luce e dalla fama della holding che ruota attorno a Facebook.
Made this logo in 3 minutes: FF Meta Bold has its own infinity symbol. #Meta pic.twitter.com/gZzfqiit29
— erik spiekermann (@espiekermann) October 29, 2021
Ancora… Pensate che siano solo il pittogramma ed il logotipo il problema?
Naaaaa… La font!
Il carattere scelto per scrivere la parola Meta è infatti molto simile ad un carattere progettato per l’ufficio postale della vecchia Repubblica Federale Tedesca (quella che a Berlino era separata dalla DDR, la Repubblica Democratica Tedesca o Germania Est, dal famoso muro). Stiamo parlando della metà degli anni ’80, il muro era ancora ben saldo al suo posto e Zuckerberg forse poppava ancora dal biberon (sempre se era già nato…). Volete per caso provare ad indovinare il nome della font? Ma certo, bravi, proprio così, FF Meta! Tanto che il designer del logo, come potete leggere qui di fianco, è stato parecchio caustico su Twitter in merito al design del logo…
Insomma, se Mark Zuckerberg ha detto, presentando Meta, che “Per me simboleggia che c’è sempre altro da costruire”, alla fine è chiaro che “per il resto del mondo simboleggia che c’è sempre qualcosa da copiare“…
Il rebranding, questo sconosciuto
Un ultimo appunto, e neanche da poco, è proprio sul rebranding.
Il rebranding, quello serio, è un’operazione che non coinvolge solo il logo, ma l’intera azienda, la sua struttura, i suoi processi aziendali, il modo con cui sceglie di rapportarsi al cliente… Qui abbiamo Zuckerberg che parla di Metaverso, qualcosa che non si sa cosa sia, se esiste, quando vedrà la luce (per sua stessa ammissione non se ne parlerà per almeno un decennio)… Ma lui ha testualmente detto: “È tempo per noi di adottare un nuovo marchio aziendale per comprendere tutto ciò che facciamo”. Ora, in tutta onestà, chi tra noi comprende pienamente quello che fa Zuckerberg semplicemente guardando questo simbolo e il nome Meta?
Se prendessimo a paragone un colosso concorrente, Google, noteremmo che esso era già pienamente diversificato nelle attività “reali” che stava portando avanti (IA, assistenza sanitaria, droni, auto senza conducente, ecc.) quando ha lanciato il marchio Alphabet nel 2015, cosa che Facebook assolutamente non è.
E allora, come non ammettere che si tratti solo di un’operazione di facciata in un momento nel quale Zuckerberg (o meglio, Facebook ed Instagram) sono al centro di violentissime polemiche sul modo di affrontare la privacy degli utenti, sul promuovere più che combattere le fake news, sul suo insistere a voler lanciare prodotti pericolosi (uno tra tutti Instagram Kids, ufficialmente sospesa circa un mese fa dopo essere stata praticamente seppellita dalle polemiche)?
In un momento in cui (fonte Wall Street Journal) la Federal Trade Commission ha iniziato a esaminare il fatto che le sue piattaforme abbiano esacerbato i problemi di salute mentale degli adolescenti, al fine di valutare se la società avesse violato un accordo da 5 miliardi di dollari concordato con la FDA già nel 2019 per problemi di privacy?
Come ha dichiarato un senatore degli Stati Uniti d’America, “Facebook ha bisogno di fare chiarezza e cambiare il suo gioco. Divulgazione reale, responsabilità, protezione dei bambini e privacy, per cominciare. Meta non ha senso senza un’azione misurabile“.
E soprattutto, riuscirà con questa maldestra “tinteggiata” ad attirare nuovi “clienti”, soprattutto quelli a cui come visto mira senza farne troppo mistero, ovvero quelli più giovani? Dite che esagero? Beh, in molti ritengono che la scelta di chiedere aiuto a Khaby Lame, star indiscussa di social concorrenti (Tik Tok e YouTube) ed idolo delle platee giovanissime, vada proprio in questa direzione…
Quello che ci sembra chiaro è che Zuckerberg ha cambiato biancheria intima senza prima mettere mano ad acqua e sapone, e ancora una volta sta facendo promesse che non può mantenere. Il che, per un marchio, è la peggiore delle martellate sui…
A proposito, sapete in quanti hanno pensato che il logo rappresentasse proprio il paradigma dei gioielli maschili?
Non ne parliamo che è meglio…